IUAV - Istituto Universitario di Architettura di Venezia

Auditorium Santa Marta

 

La rappresentazione e il controllo dello spazio: dalla rivoluzione francese alla rivoluzione informatica.

(Morte e trasfigurazione della Geometria Descrittiva)

Riccardo Migliari

 

23 maggio 2000

 

 

Premessa: le molte facce del disegno di architettura.

Come tutti sappiamo, il disegno d’architettura ha molte facce. C’è la più seducente: il disegno di architetture fantastiche. C’è l’appunto di viaggio, che può avere una faccia accademica ma anche, all’opposto, una fisionomia antiaccademica. C’è il disegno d’invenzione e il disegno esecutivo. C’è la faccia del rilievo, infine, e molte altre ancora. Tutte queste facce, però, assomigliano a una sola, assomigliano a quel disegno, padre e madre di tutti i disegni, che è la rappresentazione scientifica, quella sostenuta dalle strutture logiche della geometria.

Fig.   1 - Il disegno di architetture fantastiche (Scolari)

Fig.   2 - Il disegno di architetture fantastiche (Scolari)

Fig.   3 - Il disegno di architetture fantastiche (Scharoun)

Fig.   4 - Il disegno di viaggio accademico (Le Corbusier)

Fig.   5 - Il disegno di viaggio accademico (Le Corbusier)

Fig.   6 - Il disegno di viaggio accademico (Le Corbusier)

Fig.   7 - Il disegno di viaggio antiaccademico (Le Corbusier)

Fig.   8 - Il disegno di viaggio antiaccademico (Le Corbusier)

Fig.   9 - Il disegno di viaggio antiaccademico (Le Corbusier)

Fig.   10 - Il disegno di viaggio antiaccademico (Le Corbusier)

Fig.   11 - Il disegno di viaggio antiaccademico (Le Corbusier)

Fig.   12 - Il disegno di viaggio antiaccademico (Le Corbusier)

Fig.   13 - Il disegno d’invenzione (Le Corbusier)

Fig.   14 - Il disegno d’invenzione (Le Corbusier)

Fig.   15 - Il disegno esecutivo (Calatrava)

Fig.   16 - Il disegno esecutivo (Moore)

Fig.   17 - Il disegno di rilievo (Palladio)

 

Fig.   18 – Ancora un disegno (riassuntivo)

La geometria della rappresentazione, cioè la geometria descrittiva.

 

Che cosa intendo con questo termine, inconsueto, di rappresentazione scientifica? Intendo dire, semplicemente, che ogni disegno d’architettura è una pianta, o un prospetto o una prospettiva in senso lato (centrale o parallela), come già sapeva Vitruvio: icnografia, ortografia, scenografia[1].

Fig.   19 – Una Pianta (icnografia), un Prospetto (ortografia), una Prospettiva (scenografia).

Intendo dire che sotto ogni disegno d’architettura, anche il più artistico e disinvolto, c’è una regola o la memoria di una regola.

 

Questa regola, i nostri antenati, come Piero della Francesca[2], l’hanno sempre studiata e impiegata senza bisogno di darle un nome speciale, oppure servendosi degli appellativi vitruviani che ho ricordato. Fino al 1795, quando si verificò un evento che ha condizionato le scuole di architettura per i due secoli successivi.

Fig.   20 – La regola degli antichi (Oplonti)

Fig.   21 – La regola degli antichi (Oplonti)

Fig.   22 – La regola di Piero

 

 

 

 

L’eterna primavera: dal 1795 al 1995

 

L’evento al quale alludo è la nascita della Geometria Descrittiva. Mi si consenta qui una pausa di riflessione. Non voglio tediare nessuno con una questione che è stata già troppo dibattuta in pubblico e sulle pagine delle riviste specializzate. Ma è necessario un cenno, almeno.

 

Nel 1795, dunque, un matematico francese che risponde al nome di Gaspard Monge tiene, alla scuola politecnica, alcune lezioni di una disciplina che egli definisce géométrie descriptive. Questa disciplina è una teoria che giustifica le note costruzioni del disegno d’architettura, applicando ad esse metodi e ragionamenti di carattere geometrico. Monge è, in vero, un patito dei neologismi (ci proverà anche con l’analyse géométrique, ma con meno successo), tuttavia non ha mai detto di aver inventato la geometria descrittiva. A ben vedere una cosa è inventare un nome di fantasia per una scienza in una fase del suo sviluppo e ben altra cosa è inventare una nuova scienza (evento, questo, che non si è mai verificato nella storia del pensiero). Tuttavia, per ragioni che non è qui il caso di indagare, a qualcuno piacque riconoscere nella geometria descrittiva di Monge, una disciplina totalmente nuova e perfettamente compiuta, gridando al miracolo del genio creatore!

Fig.   23 – Ritratto di Monge

 

Qual è dunque il problema? Forse quello di un giudizio apologetico della Storia nei confronti dello scienziato francese? Poco male e buon per lui, ammesso che possa goderne. Il problema è un altro e ben più grave: il problema è che, per sostenere il ruolo creatore di Monge, si sono buttati alle ortiche secoli di un pensiero scientifico nobilissimo. Basta fare un esempio, quello della prospettiva. Nella geometria descrittiva la prospettiva viene relegata in un ruolo gregario, semplice applicazione del metodo mongiano. In altre parole, basta avere una ‘prima’ e una ‘seconda’ proiezione’ per ricavarne una prospettiva. Ma questo, lo sapeva già fare Piero della Francesca. E gli studi di Desargues e quelli di Taylor, e quelli di tanti altri matematici e artisti che avevano reso la prospettiva un vero metodo di rappresentazione? Semplicemente dimenticati.

 

Insomma, le duecento pagine del trattato di Monge sono state sostituite a una intera biblioteca e la Géométrie Déscriptive ha preso, nell’insegnamento, il posto dell’antica e nobile scienza della rappresentazione.

 

Gli effetti di questo spaventoso equivoco si sono ripercossi soprattutto nelle scuole di architettura e di ingegneria. L’insegnamento della scienza della rappresentazione è stato, per lo più, limitato alla geometria descrittiva mongiana e affidato a matematici. Questi ultimi hanno ben presto dichiarato l’esaurimento del potenziale euristico della geometria descrittiva e hanno del tutto abbandonato la ricerca. Venuta a mancare la linfa degli studi la nostra scienza si è inaridita, trasformandosi nella mummia di una disciplina morta.

Per rendersene conto basta confrontare due disegni, il primo tratto da una delle numerose edizioni di Monge e l’ultimo da un qualsiasi libro di testo recente e ancora in uso. Tra i due disegni corrono duecento anni, ma nulla è cambiato. Non solo, entrambi rappresentano una pianta e un prospetto, per dirla con il linguaggio nostro, di architetti. Ma in entrambi, questi disegni, così familiari, non sono riconoscibili. Il cosiddetto metodo di Monge, infatti, è tanto lontano dalle esigenze del progetto da non aver mai trovato alcuna pratica applicazione.

Fig.   24 – Una Tavola di Monge  … e una da un testo pubblicato lo scorso anno!

 

La scienza della rappresentazione, per alludere a quella storica, cui ho fatto cenno, aveva sempre avuto un contatto diretto e fecondo con la materia e con l’arte. Era la scienza che permetteva di trasformare le idee nelle cose e di simulare lo spazio e le figure umane.

Con la riduzione al metodo dei Monge e alle sue applicazioni, si è perduto completamente l’aspetto artistico della disciplina, sia nel senso illuminista che in quello romantico.

 

Si è dunque insegnata per due secoli una disciplina inutile? Inutile no, perché anche la Geometria Descrittiva di Monge ha un valore formativo (anche il gioco degli scacchi lo ha) e costringe a uno sforzo di immaginazione molto intenso (una buona palestra per la testa di un architetto). Ma certo è che molto, moltissimo, si è perso del potenziale formativo della scienza della rappresentazione e che, comunque sia, è tempo di cambiare.

Fig.   25 – Un esercizio utile quanto il metodo di Monge

 

 

 

La rivoluzione informatica

 

Negli ultimi dieci o quindici anni, questo legittimo desiderio di evasione ha trovato un alleato potente: il computer. Mi pare che il primi PC siano apparsi sul mercato intorno all’ottantacinque[3]. Il software era ancora poco e assai debole. Le applicazioni di carattere tecnico o scientifico bisognava programmarle. Le macchine capaci di gestire un disegno erano al di là della portata non solo di un privato, ma anche dell’università italiana. Quel che è accaduto negli anni immediatamente successivi è a tutti noto. Non starò a ripercorrere le tappe di questa rivoluzione. Ricorderò soltanto che oggi, persino nelle dimensioni di un PC portatile, si possono gestire programmi di CAD e modellazione potentissimi. Cosa si può fare con questi programmi? Si possono risolvere con grande accuratezza tutti i problemi tipici della scienza della rappresentazione, e molti altri ancora.

Si può, ad esempio, fare un disegno, adoperando il computer come squadra, riga e compasso, ma è un uso assai riduttivo.

Si può costruire un modello tridimensionale e generare una proiezione: cioè una pianta, un prospetto, una sezione, una prospettiva in senso lato (centrale o parallela).

Si può studiare il chiaroscuro.

Infine, ed è qui il punto più notevole, si possono studiare i volumi e le superfici che costituiscono la tavolozza dell’architetto. Infatti, come il pittore usa i colori, l’architetto usa, per comporre, le forme che può controllare per mezzo della geometria.

Fig.   26 – Primo esempio di CAD: il disegno bidimensionale (un disegno dal rilievo dell’ex Mattatoio)

Fig.   27 – Secondo esempio di CAD: il disegno tridimensionale: la modellazione 3D (il modello della capriata).

Fig.   28 – Terzo esempio di CAD: il rendering: ray tracing.

Fig.   29 – Terzo esempio di CAD: il rendering: radiosity

Fig.   30 – Terzo esempio di CAD: il renderin: shading

Fig.   31 – Quarto esempio lo studio delle superfici (la ricostruzione di un capitelo ionico al museo nazionale romano).

Fig.   32 – Quarto esempio lo studio delle superfici (la ricostruzione di un capitelo ionico al museo nazionale romano).

Fig.   33 – Quarto esempio lo studio delle superfici (la ricostruzione del capitello ionico di Vitruvio).

Fig.   34 – Quarto esempio lo studio delle superfici (la ricostruzione del capitello ionico di Vignola).

Fig.   35 – Quarto esempio lo studio delle superfici (la ricostruzione di un capitelo ionico del Colosseo).

Fig.   36 – Quarto esempio lo studio delle superfici (la ricostruzione di un capitelo ionico del Colosseo).

Fig.   37 – Quarto esempio lo studio delle superfici (la ricostruzione di un capitelo ionico del Colosseo).

Fig.   38 – Quarto esempio lo studio delle superfici (la ricostruzione di una base attica del Colosseo).

 

 

 

 

 

Caratteri della rappresentazione informatica

 

Questo sembra essere il carattere forte della scienza della rappresentazione informatica: la sua capacità di dominare lo spazio tridimensionale.

Il Modello animato del capitello ionico del Colosseo

 

 

Ha senso conservare la Geometria Descrittiva? Quando si dice GD si dice in realtà scienza della rappresentazione.

 

Ha senso, allora, conservare la Geometria Descrittiva? No davvero. Tuttavia bisogna precisare che la geometria descrittiva che non serve più è quella statica di Gaspard Monge, non è, invece, la Scienza della Rappresentazione, dinamicamente intesa nel suo sviluppo attraverso la storia, dalle origini fino a noi, oggi.

 

 

 

Qual è il carattere invariante della Scienza della Rappresentazione?

 

Nella Scienza della Rappresentazione, infatti, sono contenute alcune qualità invarianti, che non mutano con il mutare dei tempi. La prima di queste qualità è la capacità di dialogare con lo spazio e con le forme che lo abitano, per raffigurarle o per controllarle. Questa seconda attività, di controllo, è in particolare degna della nostra attenzione. Ammesso, infatti, che si possa rappresentare anche senza conoscere la scienza che produce la rappresentazione, grazie all’automatismo di una macchina preparata da altri, non è invece possibile controllare lo spazio automaticamente, ma solo con il consapevole impiego degli strumenti che la scienza della rappresentazione insegna.

Vediamo, dunque, in che cosa consiste questo controllo: in sintesi consiste nella misura e nella modellazione.

Misura e modellazione sono due attività complementari: infatti non posso costruire due pareti ortogonali, se non so misurare un angolo retto, perciò non posso modellare senza misura, ma non posso neppure misurare, se non ho un modello sul quale appoggiare il metro.

 

 

 

Come questo carattere si concilia con i mezzi offerti dalla tecnologia informatica, nel controllo dello spazio.

 

Ora è facile considerare la convergenza della Scienza della Rappresentazione con le qualità proprie della rappresentazione informatica: entrambi i metodi tendono al medesimo risultato. La rappresentazione informatica, tuttavia, non possiede la tradizione e l’entroterra culturale della Scienza dalla quale, in ultima analisi, deriva. Perché? Io credo che ciò si debba al carattere squisitamente tecnico del software. I programmi dedicati al disegno e alla modellazione, infatti, si presentano, chi più chi meno, come un insieme di comandi distinti, che non invocano una logica comune, né tantomeno, una logica con radici nella storia della geometria.

 

 

 

Come la Scienza della rappresentazione incorpora le tecniche informatiche di controllo dello spazio e di visualizzazione delle forme tridimensionali.

 

Io credo, tuttavia, che una soluzione sia proponibile: fondere il metodo scientifico della rappresentazione e la tecnica informatica. Questa fusione, però, non è immediata. Allo stato dell’arte, infatti, le differenze tra i metodi della vecchia geometria descrittiva e le procedure del disegno informatico sono molto aspre.

Un primo passo è stato fatto, pochi anni or sono, nella scuola romana, quando è stato sostituito il metodo della rappresentazione tecnica al vecchio metodo di Monge[4]. Il vecchio metodo utilizza due punti particolari per rappresentare una retta e due rette particolari per rappresentare un piano (si tratta, com’è noto, delle intersezioni con i piani di proiezione). Il nuovo metodo utilizza due punti distinti qualsiasi e due qualsiasi rette incidenti. Ma è ancora troppo poco.

Fig.   39 – Le proiezioni ortogonali nella forma del disegno tecnico, che sostituisce il metodo di Monge.

Fig.   39 – Lezione sulle proiezioni ortogonali nella forma del disegno tecnico, che sostituisce il metodo di Monge (1992).

Fig.   39 Lezione sulle proiezioni ortogonali nella forma del disegno tecnico, che sostituisce il metodo di Monge (oggi).

 

Voglio ora mostrare come è possibile, a mio avviso, annullare queste differenze con vantaggio reciproco, fino a configurare una nuova scienza della rappresentazione che unisca il rigore logico alla potenza del calcolo e della espressione informatica.

 

 

 

Verso una nuova scienza della rappresentazione: primi sintomi di una mutazione.

 

Per ottenere questo risultato occorre lavorare su alcune questioni essenziali:

 

·       la revisione dei fondamenti teorici;

 

·       la unificazione delle procedure;

 

·       la revisione della tavolozza delle forme;

 

·       la revisione delle tecniche di comunicazione e di apprendimento.

 

Non è possibile in breve spazio, trattare compiutamente questi quattro aspetti, ma di ciascuno vorrei dare almeno un esempio.

 

 

 

·       La revisione dei fondamenti teorici Il problema della perpendicolarità).

 

Cominciamo dai fondamenti della teoria affrontando un problema centrale nella costruzione dei modelli, che è quello della perpendicolarità.

 

Se si apre un qualsiasi trattato post – mongiano si trova che la perpendicolare ad un piano si costruisce tracciandone la prima proiezione ortogonale alla prima traccia di un piano, la seconda ortogonale alla seconda traccia. Questa procedura si estende immediatamente alla rappresentazione tecnica, sostituendo alla prima traccia la prima proiezione di una qualsiasi retta orizzontale, alla seconda traccia la seconda proiezione di una retta frontale.

 

Ebbene, come si giustifica questo procedimento? Diciamo pure, con sereno giudizio, che di norma non viene giustificato, se non nella forma intuitiva proposta da Monge.

 

Proviamo, allora, a tornare alle origini, per così dire, riprendendo le considerazione di Euclide.

 

Euclide comincia col dare una definizione: una retta è perpendicolare ad un piano quando è perpendicolare a tutte le rette del piano (che passano per il piede)[5]. Quindi Euclide dimostra il teorema: una retta è perpendicolare ad un piano quando è perpendicolare a due rette del piano[6].

Fig.   34 - La definizione di perpendicolarità di Euclide

Fig.   35 - Il teorema XI, 4 di Euclide.

 

Ciò premesso, il nostro insegna, nell’ordine, le due seguenti costruzioni:

 

·       costruzione di un piano perpendicolare a una retta;

 

·       costruzione di una retta perpendicolare ad un piano.

 

Consideriamo la prima: data una retta r, si costruiscono due piani qualsiasi a e b, distinti, che appartengano alla retta. Si stacca poi un punto P sulla retta r e, all’interno dei due piani, si costruiscono le perpendicolari a e b alla retta r nel punto P. Le rette a e b individuano il piano che si voleva costruire, infatti sono, per costruzione, incidenti e perpendicolari alla retta data.

Fig.   36 – La costruzione di un piano perpendicolare a una retta, secondo Euclide.

 

La seconda costruzione è una applicazione della prima. Infatti, dato un piano a, per costruire la retta n normale al piano, basta scegliere una qualsiasi retta r del piano e costruire il piano g che le è perpendicolare. Questo piano, taglia il piano dato secondo una retta b. Si costruisce infine la retta n, all’interno di g, perpendicolare alla b: essa risulta, per costruzione, perpendicolare ad a e b, ed è, perciò la retta cercata.

Modello: la costruzione di una retta perpendicolare ad un piano, con il CAD, cioè secondo Euclide.

 

Proponiamoci, ora, di eseguire le due costruzioni suddette in ambiente CAD. Ebbene, non vi è altro modo che quello indicato da Euclide! Da un lato questo risultato non ci sorprende, perché la geometria sulla quale si fonda il CAD, non appartiene ad una cultura aliena, ma pur sempre alla nostra cultura e alla nostra tradizione; dall’altro lato, invece, sorprende il fatto che confrontandoci con la rappresentazione informatica si sia fatto un passo indietro, verso la geometria degli antichi.

Fig.   45 – Un vecchio libro progressista o anticipatore: la Geometria di Sito di Vincenzo Flauti

 

 

Questa esperienza, però, non è nuova. Già al primo apparire dell’opera di Monge, infatti, c’era stato che ne aveva censurato lo scarso rigore geometrico: mi riferisco a Vincenzo Flauti, che però non fu il solo.

 

Ma andiamo oltre. Non ci resta, a questo punto, che giustificare il procedimento grafico delle proiezioni ortogonali, che sopra abbiamo ricordato, con la ritrovata limpidezza della geometria antica.

 

Bisogna dunque costruire una retta perpendicolare ad un piano. Quanto alla prima proiezione basta scegliere una retta orizzontale: il piano che le è perpendicolare risulta proiettante in prima e fornisce, perciò, direttamente la prima proiezione. Analoga costruzione vale per la seconda proiezione, questa volta, però la retta è frontale. La costruzione euclidea giustifica quindi la costruzione grafica, in modo semplice e immediato.

 

Ora, ciò che mi preme mettere in luce, non è tanto il risultato sul piano logico, quanto la ritrovata corrispondenza tra le operazioni nell’ambiente CAD e le operazioni sul foglio da disegno. E’ questo ciò che conta: una teoria e una procedura comune che stringono un saldo legame tra il disegno e la modellazione informatica, per il tramite della geometria classica.

 

 

 

·       La unificazione delle procedure (piani di proiezione e piani di costruzione).

 

Il concetto di procedura è più affine al mondo informatico che a quello della geometria. Tuttavia gli algoritmi, intesi come sequenza ordinata di operazioni tutte realmente eseguibili, e le procedure, intese come associazioni di algoritmi mirate a conseguire un risultato complesso, possono essere introdotti nella scienza della rappresentazione con vantaggi degni di nota.

 

Quali sono questi vantaggi? In primo luogo la facilità di apprendimento, in secondo luogo la possibilità di ottimizzazione della procedura.

 

Ma ciò che qui interessa maggiormente è riconoscere, alla luce di questi concetti, operazioni e modi di operare identici della geometria descriva e del CAD.

 

Consideriamo, per cominciare, la costruzione di una figura piana nello spazio.

La geometria offre due metodi: il cambiamento dei piani di proiezione e i procedimenti per la costruzione della vera forma. Il primo metodo porta il piano di proiezione a coincidere con il piano della figura, il secondo inverte i ruoli, portando la figura a coincidere con il piano di proiezione.

Nel CAD sono possibili entrambe le procedure. Tuttavia la seconda procedura, cioè il ribaltamento del piano che ospita la figura da costruire sul piano di proiezione, non è indispensabile, giacché è possibile operare direttamente nello spazio.

Ecco dunque nascere un’idea unificante: il piano di costruzione. Quando si disegna in vera forma (intendo con la matita) il piano di costruzione e il piano di proiezione debbono sempre coincidere; quando si modella (intendo al CAD) il piano di costruzione può anche non coincidere con il piano di proiezione, ma essere disposto nello spazio.

Fig.   45 – Il problema della vera forma: il piano di costruzione sul piano di proiezione

 

Modello: il piano di costruzione è nello spazio.

 

 

·       La revisione della tavolozza delle forme (dalle cubiche, alle Spline, alle NURBS).

 

Nel suo trattato di architettura, Pietro Cataneo suggerisce un metodo straordinariamente semplice ed efficace per disegnare l’entasi di una colonna. Questo metodo, ripreso da Palladio, ha spazzato via le complicate costruzioni del passato. Si prende un’asticciola di legno, o di qualsiasi altro materiale elastico, la si blocca in corrispondenza del terzo inferiore del fusto, la si flette in modo che l’estremità superiore raggiunga la massima rastremazione del profilo, quindi la si ferma in posizione e si traccia la curva corretta.

Fig.   46 – Il metodo di Cataneo per disegnare l’entasi.

 

Fig.   47 – Il metodo di Cataneo per disegnare l’entasi in pratica: è una Spline.

 

Fig.   47 – Il metodo di Cataneo nel CAD

Fig.   47 – Il metodo di Cataneo nel CAD

Fig.   47 – Il metodo di Cataneo nel CAD

 

 

I metodi della scienza delle costruzioni provano che, se lo spostamento è di piccola entità, rispetto alla lunghezza dell’asta, la curva descritta è sempre la stessa, quale che sia il materiale adottato e la forma della sezione. Dunque l’asta di Cataneo si comporta come un compasso, cioè come uno strumento che, adeguatamente impostato, restituisce sempre la stessa forma.

Fig.   43 – Gehry e le NURBS

 

L’equazione che descrive la curva è una cubica, come, appunto, l’equazione della linea elastica di un’asta flessa, caricata all’estremità.

 

Quando, quattro secoli più tardi, i matematici e i programmatori si sono chiesti come disegnare con un computer le forme degli scafi e i profili delle ali degli aeroplani, hanno trovato una soluzione identica[7]: le curve polinomiali cubiche. Da questi polinomi discendono tutti gli algoritmi attualmente in uso nel CAD: le curve di Bézier, le Spline, le B-Spline e, finalmente, le NURBS (Non Uniform Rational B-Spline).

 

Queste nuove forme lineari hanno generato nuove superfici, e le nuove superfici nuove possibilità d’espressione per architetti e designer. A tutti è noto il caso emblematico di Gehry. Si può amare la sua architettura o criticarla. Ma non si può negare che egli faccia un uso ampio e persino esasperato di queste nuove superfici.

 

Ma il caso di Gehry è interessante anche da un altro punto di vista: si dice che egli costruisca prima modelli solidi per poi ricavarne gli elaborati di progetto: e in certi casi ciò è verosimile, considerato il carattere scultoreo dei suoi spazi. Si può anche osservare, però, come molte forme siano ricavate per deformazione di forme primitive, come appunto è possibile nella modellazione tridimensionale informatica.

 

Da un punto di vista operativo non vi è grande differenza tra queste due procedure: infatti il modello plastico e quello numerico tridimensionale si equivalgono, nel progetto.

 

C’è invece una differenza dal punto di vista teorico, perché nel primo caso la geometria è chiamata a interpretare e descrivere una forma libera, mentre nel secondo caso è la forma che si esprime attraverso il linguaggio della geometria.

 

Si tratta, insomma, di un bell’esempio del rinnovamento di una storia antica. Nei tempi passati, infatti, c’è sempre stato un fitto scambio di favori tra l’architettura e la geometria, testimoniato da problemi leggendari, come quello di Delo[8].

 

In conclusione, appare evidente la necessità di aggiornare il repertorio delle forme e delle regole per modellarle. E la nuova geometria descrittiva, o scienza della rappresentazione che dir si voglia, deve farsi carico di questo compito.

 

 

 

·       La revisione delle tecniche di comunicazione e di apprendimento (disegno tradizionale e forme in movimento).

 

Ma la felice unione della geometria e del CAD può produrre e produrrà altri notevoli risultati. Uno viene per certo dal movimento. Finora il movimento delle forme era possibile solo immaginarlo, e con grande difficoltà. Oggi è possibile vederlo.

 

Voglio fare qui un piccolo esperimento.

 

Ecco un tipico disegno della geometria della rappresentazione: è la raffigurazione assonometrica di una operazione di sezione, ma poco importa, che io lo dica. Anzi non dovrei dirlo affatto, perché questo disegno lo si fa per spiegare una certa operazione e, dunque, dovrebbe parlare da sé. Invece è quasi incomprensibile, almeno a prima vista.

Come rendere facile il difficile, con il movimento (Modello di una sezione conica.

Ma guardate ora il medesimo disegno animarsi: guardate il modello che l’ha generato ruotare nello spazio virtuale: immediatamente tutto diventa chiaro fino all’evidenza. Le spiegazioni, a questo punto, possono limitarsi a poche osservazioni che assumono il carattere di una esperienza diretta e convincente.

 

Il professore di geometria sa bene che uso può fare di questa proprietà dei modelli CAD[9], ma io non escludo che anche il progettista sappia avvalersene.

 

 

 

Il teorema di Dandelin

 

Per finire, vorrei dare pochissimi esempi della sinergia che si instaura tra la nuova geometria descrittiva e il CAD.

 

Prenderò come primo esempio un celebre teorema, che dimostra che le coniche sono un luogo geometrico. Consideriamo il caso più semplice: quello dell’ellisse ottenuta come sezione piana del cilindro circolare retto. E’ utile dare un significato concreto alla ‘costanza della somma delle distanze di un punto da altri due’, che sono i fuochi. Utile, perché se ne ricava un modo certo e spedito per disegnare la curva, e per molte altre conseguenze, come, ad esempio, la prospettiva (o l’assonometria) della sfera[10].

Fig.   45 – Il teorema di Dandelin, alla lavagna (1992)

Il teorema di Dandelin consiste in una architettura: una volta costruita tutto è chiaro e quasi non vi è bisogno dimostrazione, basta misurare quattro segmenti.

Fig.   53 – Il teorema di Dandelin, al CAD (oggi)

Fig.   54 – Il teorema di Dandelin, al CAD (oggi)

Dunque si prende un cilindro, lo si taglia con un piano, ottenendo l’ellisse, e si infilano nel cilindro due sfere, portandole a contatto con il piano di sezione. Si sceglie poi un punto qualsivoglia dell’ellisse e si costruiscono i segmenti che vanno da questo punto ai punti di contatto tra le sfere e il piano. Per il punto prescelto, si conduce ora la generatrice del cilindro fino a incontrare il cerchi di contatto tra le sfere e il cilindro, in alto e in basso. I due segmenti che allineati che formano questa generatrice e che hanno quale vertice comune il punto prescelto, sono eguali ai segmenti già costruiti e perciò la somma di questi ultimi è costante, come costante è la lunghezza della generatrice.

Modello di Dandelin

 

 

La geometria come un gioco

 

Non voglio abusare della pazienza di chi mi ascolta, con altri argomenti che richiedono attenzione, e perciò mi affiderò soltanto alle immagini, mostrando qualche esempio in cui il vecchio modo di studiare la geometria e il nuovo si fondono insieme.

Fig.   46 – Le volte semplici e composte, alla lavagna (1992).

A questo riguardo vorrei fare una precisazione. Il mio amore per le nuove possibilità di espressione non deve far credere che io voglia sostituire l’elaborazione numerica al disegno tradizionale. Non sono di questo avviso, anzi, io credo, al contrario, che le due tecniche debbano convivere. Io credo che il disegno accademico debba essere recuperato in tutte le sue potenzialità. Credo che in una Facoltà di Architettura non guasti un corso di figura, uno di acquerello e uno che insegni il disegno degli ordini classici. Tuttavia sono convinto della forte sinergia dell’espressione grafica e dell’espressione numerica o digitale. Bisogna usarle entrambe; bisogna che il CAD si appropri della storia nobile e antica della rappresentazione e che la rappresentazione si appropri delle possibilità di controllo dello spazio offerte dalla tecnologia.

Fig.   46 – Le volte semplici e composte, al CAD (oggi).

 

 

 

 

 



[1] Cfr. Vitruvio, De Architectura, I, 2, 2.

[2] Vfr. Piero della Francesca, De Prospectiva Pingendi, edizione critica a cura di Giusta Nicco Fasola, Firenze 1942 – 1984.

[3] Le prime applicazioni dell’informatica all’architettura risalgono agli anni sessanta (cfr. David Campion, Computers in Architectural Design, Amsterdam – London – New York 1968) ma si tratta di esperimenti condotti su macchine grandi e costose.

[4] Cfr. Mario Docci – Riccardo Migliari, Scienza della Rappresentazione, Roma 1992.

[5] Cfr. Euclide, Gli elementi, XI, III.

[6] Euclide, XI, 4.

[7] Questa soluzione, infatti, è la traduzione analitica delle tecniche di lofting, che consistono nell’interpolare i punti del progetto per mezzo di listelli flessibili ….

[8] Il problema di Delo o della duplicazione del cubo, risolto da Archita nel V sec. A. C.

[9] Cfr. Riccardo Migliari, Fondamenti della Rappresentazione Geometrica e Informatica dell’Architettura, Roma 2000.

[10] Teorema di Dandelin – Quetelet.